La ricetta di mare: il risotto di pesce
Il mare è in grado di dar voce alle molteplici sfumature di Cesenatico. Il mare è storia, cultura, sorpresa. Costituisce il centro di vite, scambi, incontri. E così, anche questa volta, il simbolo della cittadina ci regala una perla. No, non c’entrano le ostriche; parliamo di un piatto che rappresenta il caposaldo della cucina marinara. La pietanza che meglio incarna l’essenza di un’intera realtà. Di un contesto che trova la sua dimensione ideale nella pesca e nelle onde: il risotto di pesce.
Eccolo qua che ci osserva dall’alto della sua fama e del suo prestigio. Molti sono i locali in cui poter gustare un risotto che manda in estasi. In cui potersi perdere tra i sapori sublimi e giocare di abbinamenti e combinazioni. Ma nulla esclude la possibilità di avere la stessa squisitezza anche a casa propria. Come? Semplice, nonna Nadia ci svela i segreti per dare vita ad un pranzo perfetto. Portata principale? Il risotto, ovviamente.
La nonna racconta: ecco la ricetta della tradizione:
“Il risotto è arte. Molto più che semplice cibo. La mia è una ricetta casereccia che, però, mette a tavola le persone da generazioni. Non c’è niente di più bello che una domenica trascorsa in famiglia. Meglio se con un buon piatto davanti. Ma non perdiamoci in chiacchere. Dicevamo? Certo, la ricetta:
Innanzitutto occorre preparare il sugo di vongole: bisogna prendere scalogno o cipolla (tagliati fini in entrambi i casi) e metterli a scaldare con un po’ d’olio. Poi si aggiunge il concentrato di pomodoro e si mescola. A questo punto mancano solo le vongole (che devono essere state precedentemente sgusciate. Mi raccomando: non si deve gettare via l’acqua creata dalle vongole! Anzi, è l’ingrediente che dà sapore a tutto il sugo). Ma non finisce qui. Abbiamo appena cominciato!
Veniamo alla preparazione del secondo sugo, quello di seppia. La procedura è simile a quella che riguarda le vongole: si mette l’olio e il concentrato di pomodoro a scaldare e si mescola. Dopodiché, ovviamente, si aggiungono i pezzi di seppia tagliati molto piccoli. Io preferisco non aggiungere né la cipolla né lo scalogno. Nessun tipo di odore in generale, va bene così.
Adesso viene il bello: dopo la preparazione dei due sughi arriva la parte che preferisco. Si tratta del brodo di pesce. Cominciamo prendendo sedano, carote e cipolle. Si tagliano le verdure (anche grossolanamente, non è un problema) e si mettono a scaldare nell’olio. Poi si fa l’aggiunta di una punta (veramente, basta una punta) di concentrato di pomodoro. Si mescola bene in modo da amalgamare tutti gli ingredienti. Io consiglio l’utilizzo dei paganelli, per quanto riguarda il pesce da cucinare. Chiaro, ognuno può utilizzare ciò che ha in casa… ma nulla batte i paganelli.
Comunque, dopo aver messo i paganelli, basta aggiungere l’acqua (dosandola a seconda di quanto riso si vuole preparare) e aspettare che il tutto si cuocia. Infine si cola il brodo. È il momento di occuparsi del riso: in una pentola si mette a scaldare l’olio unito a qualche fetta di cipolla. Si aggiunge il riso e lo si lascia tostare per qualche minuto insieme agli altri ingredienti. Poi, gradualmente, si condisce con i sughi e il brodo preparati in precedenza (la proporzione è questa: per ogni tazza di riso occorrono due tazze di brodo). Quando ci si trova ormai a fine cottura, si mettono i gamberi a scottare in padella. Ma attenzione! Non si devono superare i tre minuti di tempo!
I gamberi sono l’elemento che completa il composto: si mescola il tutto e si serve in tavola.
La ricetta di terra: il galletto
Quando si sente parlare di Cesenatico si pensa al mare e ai suoi frutti. Alle infinite combinazioni che si riescono a creare con il pesce. Enogastronomia a km 0, ristoranti di qualità, pranzi con scorci tra le onde. Eppure c’è molto di più. La città riesce a far scoprire il suo lato più “nascosto”. Un viaggio che si avvicina alla terra.
Perché la Romagna è così. Impossibile nominarla senza rievocare le immagini che la caratterizzano: la vitalità estiva, le musiche da balera, la “S” che scivola su ogni parola pronunciata e… l’enogastronomia. È la capitale del benessere e del buon cibo. Anzi, del cibo che diventa un fattore di identificazione su cui poggia un’intera cultura. Ogni luogo, nella Regione, ha il proprio piatto tipico e una storia da raccontare.
Così anche Cesenatico decide di dire la sua. Località famosa per il pesce e il mare, è un territorio che estende i suoi confini anche verso la campagna. E quindi, oltre all’infinita varietà di pietanze ittiche, c’è la possibilità di assaporare gustose preparazioni di terra.
Ciò che riesce a riassumere la cultura culinaria dell’entroterra è, senza dubbio, il galletto, che è anche un simbolo di terra di Romagna e lo si ritrova nella Caveja, strumento e simbolo rurale che veniva posto sulla parte anteriore di aratri e carri e che raffigurava al centro proprio il gallo, e nelle tele stampate romagnole, un prodotto artigianale della nostra terra.
Oggi vi proponiamo una buonissima “ricetta di terra”: il galletto al miele. Fatto alla maniera romagnola, beninteso. Ecco una ricetta che, da generazioni, mette a tavola intere famiglie. Graziano Pozzetto, nel suo libro “Le cucine di Romagna, storie e ricette”, illustra la maniera migliore per dare vita ad un pranzo a regola d’arte:
Strofinare il galletto, fuori e dentro, con sale e abbondante pepe macinato e poi inserire nell’addome le erbe aromatiche sminuzzate e gli spicchi d’aglio tagliati a metà. Sistemare il galletto in una casseruola, condirlo con olio d’oliva e infornare. A metà cottura spennellare completamente con il miele, rimetterlo nel forno e bagnarlo col sugo di tanto in tanto. Un galletto siffatto nuovo dell’annata si mangiava alla fine della trebbiatura, in occasione della semina del grano e a Natale.”
Graziano Pozzetto, il più grande esperto di enogastronomia romagnola, racconta il galletto:
“È uno di quegli elementi che caratterizzano la tradizione. La stessa tradizione, però, non si limita unicamente alla ricetta. C’è un lavoro di preparazione che va ben oltre questo. Il galletto, per essere davvero buono, deve avere almeno sei mesi di vita e un peso proporzionale alla sua età. Solitamente intorno ai due chili. Inutile andare alla ricerca di carni sviluppate mediante l’uso di antibiotici. Serve anche l’animale sia stato nutrito in maniera naturale e che abbia potuto vivere in libertà. È un pasto conviviale, specialmente se accompagnato da un bel bicchiere di Sangiovese, che unisce le generazioni. Si tratta di un piatto che merita di essere raccontato.”
Foto Living Cesenatico